Quel tono pungente fece bruciare le guance di Aliska, ma lei annuì, sola nel silenzio. Poco dopo, il telefono vibrò: ” Shnobel”. – RiVero

Quel tono pungente fece bruciare le guance di Aliska, ma lei annuì, sola nel silenzio. Poco dopo, il telefono vibrò: ” Shnobel”.

Aliska aveva tredici anni, ma i suoi pensieri erano invecchiati molto prima del tempo. Ogni mattina si svegliava non con la luce del sole, ma con la voce ruvida del patrigno, Dima, che echeggiava nell’appartamento come un allarme sordo:

— Aliska!
“Sta per iniziare”, pensava. Sempre la stessa sequenza: urla, comandi, silenzi tesi come corde di violino.

Quel giorno, come tanti altri, scappò via dalla casa prima ancora di aprire gli occhi del tutto. Infilò la felpa sulle spalle magre e corse giù per le scale, ignorando i sguardi dei vicini che sussurravano alle sue spalle.

— Se la mamma fosse viva…
Ma non lo era. Da un anno, un ubriaco l’aveva portata via con uno schianto. Da allora, niente era stato più casa. Né Dima, né i nonni, né quei corridoi freddi.

Mentre camminava lentamente verso il negozio di alimentari, calciando pietre come se potesse allontanare il passato, vide qualcosa brillare sull’asfalto. Un telefono. Ancora acceso. Nessun codice. Nessun graffio.

Lo raccolse. Scrollò la lista dei contatti. Lavorativi, per lo più. Poi: “Moglie”.

Compose. Una voce femminile rispose subito.

— “Hai trovato il telefono di mio marito?”
— “Sì, sono Aliska. L’ho trovato nel parcheggio, vicino al negozio. Può venire a prenderlo?”
— “Sto arrivando. Non toccare nient’altro, ok?”

Quel tono pungente fece bruciare le guance di Aliska, ma lei annuì, sola nel silenzio. Poco dopo, il telefono vibrò: ” Shnobel”.
Aliska rise. Un nome buffo. Rispose.

— “Grazie per aver chiamato mia moglie, ma non darle il telefono. Sta cercando qualcosa che non le appartiene.”
— “Scusi?”
— “Vieni via da lì. Arriverò io. Tra dieci minuti.”

Qualcosa cambiò nella voce dell’uomo. Non era rabbia. Era urgenza. Una verità che si stava affacciando.

Non sapendo perché, Aliska seguì l’istinto. Nascose il telefono sotto la felpa e si mise ad aspettare.

Arrivò prima lei. Elegante, truccata. Una donna da copertina. Non notò subito la ragazza. Guardava l’orologio, irritata.

— “Hai il telefono?”
— “Non ancora. Sta tornando il proprietario.”
— “Ridicolo. Non ho tempo.”

Poi una voce maschile alle spalle.

— “Hai sempre avuto fretta, vero, Marina?”

La donna si voltò di scatto. Il viso le si gelò.

L’uomo alto, occhi scuri come caffè bruciato, si avvicinò con passo calmo. Lo sguardo si posò su Aliska. E poi, sul suo collo.

Un ciondolo.

Piccolo. D’argento. A forma di stella spezzata. Una metà.

L’altra metà era sul collo dell’uomo.

Il suo respiro si fermò.

— “…Chi ti ha dato quello?”
— “Mia mamma. Prima di morire.”

La donna cercò di intervenire. L’uomo la zittì con un’occhiata.

— “Anna? Anna è tua madre?”

Aliska annuì, con un nodo in gola.

— “E Dima è… tuo patrigno?”

Il silenzio che seguì fu come uno sparo. Gli occhi dell’uomo si inumidirono.

— “Tu… sei mia figlia. Anna me lo disse prima di sparire dalla mia vita. Non volle mai spiegarmi perché.”

La donna — Marina — impallidì.

— “Mi aveva detto che il padre era… era un problema. Che non doveva saperlo nessuno.”

L’uomo scosse la testa.

— “Mi ha lasciato senza una parola. Ora capisco perché. Aveva paura. Di te.”

Marina cercò di difendersi, ma ormai era tardi.

Aliska non capiva tutto, ma sapeva una cosa: quell’uomo non mentiva.

— “Vuoi venire con me?” le chiese, in ginocchio davanti a lei.
— “Posso portarti via da tutto questo. Non per scappare. Per ricominciare.”

La sua voce era calma, ma piena di promessa. Di possibilità.

Aliska guardò il telefono, poi il ciondolo, poi quegli occhi familiari.

E annuì.

Epilogo
La battaglia legale fu lunga. Ma alla fine, la verità venne a galla. Con fotografie, lettere mai spedite, test del DNA. Dima non aveva diritti. Solo colpe.

Aliska non aveva mai avuto un padre. Ora ne aveva uno. E finalmente, una scelta.

Perché a volte il destino si nasconde in un telefono smarrito.
E la verità, in una stella spezzata.

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Quel tono pungente fece bruciare le guance di Aliska, ma lei annuì, sola nel silenzio. Poco dopo, il telefono vibrò: ” Shnobel”.
Le parole mi colpirono come uno schiaffo. Rimasi immobile. “Spiegati.”