Mi chiamo Eleonora e ho trentasei anni. Quando ho incontrato Alessandro, non pensavo che sarei diventata madre tre volte in sei anni. Non pensavo che avrei dimenticato com’era respirare da sola, con silenzio intorno. O mangiare senza dividere il piatto con mani piccole e appiccicose.
Mi ero immaginata una maternità fatta di sorrisi, di biscotti al forno e giornate lente. Ma la verità è che a volte sembra una corsa a ostacoli con gli occhi chiusi.
Ultimamente non sogno più. Non ricordo l’ultima volta che ho chiuso gli occhi e dormito davvero. Neanche le notti dopo il parto erano così difficili. Il mio corpo è cambiato, sì. Ma il mio cuore… il mio cuore è più affaticato ancora.
E Alessandro? Una volta mi guardava come se fossi il suo sole. Ora mi osserva come si guarda una cosa che si è rotta troppo in fretta.
Quel giorno, il pranzo era pronto da ore. Leonardo piangeva, Ginevra chiedeva un biscotto, Matteo colorava il muro con i pastelli. Io cercavo solo un minuto. Una forchetta. Un po’ di proteine per restare in piedi. Alessandro era appena rientrato. Cravatta stretta, profumo da ufficio, il solito sguardo giudicante.
E quando, col sorriso stanco di chi vuole solo nutrirsi, ho preso tre polpette, me le ha strappate dal piatto.
«Devi dimagrire», ha detto. Poi, come se fosse normale: «Se mi interesserò a un’altra, sarà colpa tua. Non mia.»
Sono rimasta in silenzio. Ma dentro… qualcosa si è spezzato.