Ma un giorno ho guardato il calendario e ho visto quanti anni erano passati senza che mi concedessi nemmeno un sogno. Senza che nessuno mi chiedesse: “E tu, mamma, nonna, Elena… cosa vuoi per te?” Nessuno. Nemmeno io. – RiVero

Ma un giorno ho guardato il calendario e ho visto quanti anni erano passati senza che mi concedessi nemmeno un sogno. Senza che nessuno mi chiedesse: “E tu, mamma, nonna, Elena… cosa vuoi per te?” Nessuno. Nemmeno io.

Mi chiamo Elena, ho 68 anni e per la prima volta, dopo una vita intera spesa a servire tutti tranne me stessa, ho scelto di vivere davvero. No, non vivere “da anziana”, in attesa della prossima festa dei nipoti o di un richiamo all’ordine da parte di mia figlia. Intendo vivere per me. Esistere per quello che io voglio. Un concetto che per decenni è sembrato impensabile, quasi scandaloso.

Eppure adesso, ogni piccolo gesto che faccio per me stessa – un libro sfogliato, un vaso di fiori comprato solo perché mi piacciono, una passeggiata senza meta – è una rivoluzione silenziosa.

Ho trascorso quarant’anni con l’idea che il mio valore fosse proporzionale a quanto fossi utile. Ai miei genitori, al mio ex marito, a mia figlia. E quando sono nati i miei nipoti, sono diventata tutto per loro: cuoca, badante, consulente scolastica e psicologa occasionale. Mai una parola fuori posto. Mai un no. Perché “sono la nonna”, perché “lei ci tiene”, perché “non si tira mai indietro”.

Ma un giorno ho guardato il calendario e ho visto quanti anni erano passati senza che mi concedessi nemmeno un sogno. Senza che nessuno mi chiedesse: “E tu, mamma, nonna, Elena… cosa vuoi per te?” Nessuno. Nemmeno io.

Così ho cominciato a dire “no”. Un no semplice, ma rivoluzionario. Ho detto no a cucinare ogni giorno per loro. No a rinunciare al mio tempo libero. No a rinunciare ai miei soldi, sudati in anni di lavoro che mi hanno tolto salute e gioia. E non mi sono sentita cattiva, come temevo. Mi sono sentita… libera.

Non è stato facile. Mia figlia non ha compreso. Anzi, si è offesa. Ma l’ho capito: non è cattiveria. È abitudine. È comodo avere qualcuno che si annulla per te. Ma io non ci sto più. Adesso vado al parco ogni mattina. Scrivo un diario. Ho iniziato un corso di pittura all’oratorio, con altre donne come me – stanche, ma piene di vita. Siamo fiorite tardi, forse. Ma siamo fiorite.

Mia figlia mi chiama ancora, ma meno. E qualche volta c’è freddezza. Fa male, certo. Ma mi fa più male pensare di tornare a essere solo un’ombra utile nella vita di qualcun altro.

Ho capito che non c’è un’età per ricominciare. C’è solo il momento giusto. E il mio momento, finalmente, è adesso.

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Ma un giorno ho guardato il calendario e ho visto quanti anni erano passati senza che mi concedessi nemmeno un sogno. Senza che nessuno mi chiedesse: “E tu, mamma, nonna, Elena… cosa vuoi per te?” Nessuno. Nemmeno io.
La Fuerza de Santiago Romero