Il posto di Milo – RiVero

Il posto di Milo

Quando ho conosciuto Anna, mi sembrava che il tempo avesse finalmente smesso di correre. Era quel tipo di persona che parlava poco ma con uno sguardo ti leggeva le rughe dell’anima. Ci siamo conosciuti in coda alla cassa di una libreria: avevo tra le mani un saggio di filosofia orientale, lei un romanzo d’amore tutto stropicciato. Mi sorrise. Mi disarmò.

Dopo tre mesi di parole sussurrate al buio, colazioni lente e passeggiate con la pioggia nei capelli, mi propose di andare a vivere insieme. Accettai. Senza dubbi.

C’era solo un piccolo dettaglio. Milo.

Milo era il mio cane. Un meticcio dal pelo nero, gli occhi che cambiavano colore con la luce e un’anima più umana di molte persone che avevo conosciuto. Era stato con me nei momenti peggiori: quando avevo perso mio padre, quando avevo lasciato il lavoro che mi logorava, quando avevo creduto di non meritare amore. Milo era rimasto.

Anna sembrava adorarlo. Gli comprava biscotti, gli lanciava la pallina in salotto, rideva quando si rotolava sul tappeto.

Ma dopo qualche settimana, il suo entusiasmo iniziò a sbiadire. Cominciò a dire che Milo perdeva troppo pelo, che puzzava di cane, che invadeva il letto. Una mattina, tornando dal lavoro, la trovai intenta a spruzzare disinfettante ovunque, con un’espressione tesa.

— “Credo che sia meglio se Milo non entra più in camera,” disse con tono gentile ma fermo.

Io annuii. Ci provai.

Poi venne la richiesta vera.

— “Non riesco a rilassarmi con lui che gira per casa. È stressante. Ho parlato con mia sorella, c’è un rifugio bellissimo dove lo trattano bene. Possiamo portarlo lì, solo finché troviamo una soluzione. Ti prego.”

Mi si strinse qualcosa dentro. Le parole non volevano uscire, come se anche loro avessero bisogno di capire.

— “Milo non è un oggetto da sistemare. È parte di me.”

— “Appunto. Se mi ami, dovresti capire quanto sto male.”

Trascorse una settimana fatta di silenzi, stanze divise, cene consumate in piedi. Finché una sera tornai a casa e trovai la ciotola di Milo sparita.

— “L’ho portato via,” disse Anna. “Tu non riuscivi a scegliere. Ho scelto io.”

Mi sentii mancare l’aria. Non urlai. Non piansi. Le chiesi solo dove fosse.

Rimasi sveglio tutta la notte con Milo accanto, dopo averlo recuperato dal rifugio. Dormì con la testa sulla mia spalla, come faceva quando era cucciolo. E io capii.

Capii che l’amore che ti chiede di tagliarti a metà per farlo stare comodo… non è amore. È egoismo travestito.

La mattina dopo scrissi ad Anna. “Grazie. Mi hai aiutato a capire dove stava davvero casa.”

Non rispose mai.

Ora io e Milo abbiamo cambiato quartiere, preso un bilocale pieno di sole e finestre basse, così può guardare fuori quando vuole.

E ogni tanto, quando qualcuno viene a trovarmi e si abbassa per accarezzarlo dicendo: “Che musetto simpatico! È tuo?” io sorrido e penso:

No. Non è mio. Io sono suo.

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