Il testimone, sconvolto e furioso, lo afferrò per un braccio, stringendo con una forza che mai avrebbe pensato di avere.
— Sei impazzito?! — gridò, lo sguardo acceso di rabbia. — Hai appena colpito un bambino! Tuo nipote!
Lo sposo cercò di divincolarsi, ma il testimone non glielo permise. Tutto intorno, gli invitati si muovevano, voci confuse si accavallavano, alcune cercavano di soccorrere il bambino, altre tentavano di calmare i parenti. Ma l’aria era divenuta pesante, satura di shock e giudizio.
La madre del bambino, pallida come la neve sull’altare, spinse la folla e corse a inginocchiarsi accanto al figlio. Lo prese tra le braccia, sussurrandogli parole rassicuranti mentre le lacrime le rigavano il viso. Il piccolo le si aggrappò al collo come a un’ancora in una tempesta.
La sposa, ancora in piedi, non riusciva a muoversi. Il cuore le martellava nel petto come se volesse spaccarle le costole. Gli occhi erano fissi sull’uomo con cui aveva appena scambiato promesse d’amore e protezione, ma che ora era diventato lo spettro di un incubo. Il velo le scivolò dalle spalle, come se volesse fuggire anche lui.
— Non posso… — mormorò lei, con un filo di voce.
Fece un passo indietro. Poi un altro. E un altro ancora. Nessuno cercò di fermarla. I suoi passi rimbombavano nella navata come tuoni. Raggiunse la porta della chiesa e si fermò. Si voltò per un attimo.
— Non ti conosco — disse. — E mi rifiuto di passare il resto della mia vita con qualcuno capace di fare del male a un bambino.
Lasciò la chiesa in silenzio, tra sguardi commossi e teste chine. Il sole, che poco prima filtrava gioioso tra le vetrate, sembrava essersi oscurato.
Due mesi dopo.
Una piccola caffetteria sulla costa. La sposa — ora ex — sedeva con una tazza di tè, guardando il mare. Aveva tagliato i capelli. Il viso era stanco, ma negli occhi si intravedeva qualcosa che somigliava a pace. Non felicità, ancora. Ma dignità, lucidità. Un nuovo inizio.
Aveva ricevuto decine di messaggi, alcuni pieni di odio da parte dei parenti dello sposo, altri di sostegno da perfetti sconosciuti. Ma ciò che contava era la decisione che aveva preso: non sarebbe rimasta in una bugia. Non avrebbe chiuso gli occhi davanti a ciò che aveva visto con chiarezza.
Quel giorno non era stato solo il crollo di un matrimonio. Era stato il suo risveglio.
Aveva scelto sé stessa. E, forse, da lì, avrebbe imparato a scegliere anche la felicità vera. Quella che non alza mai le mani.
Nota finale:
Le favole insegnano che l’amore salva. La realtà ricorda che l’amore, quello vero, non fa mai male.