Non mi ero mai soffermato troppo sulle passeggiate solitarie di Valeria, mia nuora. Era una donna silenziosa, riservata, con lo sguardo di chi ha visto troppo e parla poco. Quando diceva di andare a camminare per liberare la mente, le credevamo. Vivevamo in campagna, circondati da colline e sentieri, e sembrava normale cercare pace nella natura.
Ma con il tempo, qualcosa cambiò.
Le sue uscite diventarono più frequenti, più lunghe. Tornava al tramonto, a volte anche dopo il calare del sole, con gli occhi lucidi e le mani vuote. Diceva di aver raccolto erbe selvatiche, ma io non ne vedevo mai traccia.
Io, Pietro, ex comandante della polizia municipale, non avevo perso il mio istinto. Avevo imparato a leggere le persone. E il comportamento di Valeria… non mi tornava.
Mio figlio Daniele, invece, era completamente cieco. Innamorato perso. L’aveva sposata dopo appena sei mesi di frequentazione. “È l’unica che mi fa sentire vivo”, diceva. Noi non l’avevamo nemmeno conosciuta bene, ma Daniele era adulto, e non potevo impedirgli di fare le sue scelte.
All’inizio tutto sembrava andare bene. Valeria aiutava in casa, curava l’orto con mia moglie Teresa, rideva alle battute di Daniele. Ma poi divenne più taciturna. Irritabile. E spariva. Sempre al tramonto.
Una sera, Teresa si avvicinò a me mentre leggevo.
«Pietro,» disse piano, «oggi l’ho seguita per un tratto. Non prende mai lo stesso sentiero. E oggi… è salita verso il vecchio casale dei Bellandi.»
Mi voltai lentamente. Quel casale era abbandonato da più di vent’anni, dopo che la famiglia era emigrata in Argentina. Nessuno ci metteva piede.
«Domani la seguirò anch’io», dissi solo.
E così feci.
Il giorno dopo, quando Valeria uscì con la sua giacca verde e il solito zaino, attesi qualche minuto e poi la seguii. Camminava decisa, con passo rapido, senza mai voltarsi. Io avanzavo tra i cespugli, silenzioso come un’ombra. Dopo una ventina di minuti, la vidi entrare nel vecchio casale dei Bellandi. La porta cigolò e si richiuse alle sue spalle.
Aspettai.
Poi, con cautela, mi avvicinai a una finestra rotta. Guardai dentro.
E ciò che vidi mi lasciò senza fiato.
Valeria non era sola. Davanti a lei c’era una donna anziana, magrissima, con i capelli bianchi raccolti in una treccia. Sembrava uscita da un’altra epoca. Parlava in un dialetto antico, fitto, che faticavo a capire. Sul tavolo, c’erano libri aperti, bottiglie d’ambra e candele consumate.
«Hai portato quello che ti ho chiesto?» chiese l’anziana.
Valeria annuì e tirò fuori una scatolina. Dentro c’era qualcosa… forse un dente? O un pezzetto di osso?
Sentii un brivido corrermi lungo la schiena.
L’anziana prese l’oggetto e lo posò su un piatto d’argento, mormorando parole che non avrei voluto sentire. Valeria era immobile. Poi prese la mano dell’anziana e chiuse gli occhi.
Rimasi lì per qualche minuto, tremando. Poi tornai indietro, senza farmi notare.
Quella notte non dormii.
Il giorno dopo, affrontai Valeria.
«So dove vai», le dissi. «E so con chi.»
Lei sbiancò. «Non capisci, Pietro. Non è quello che pensi.»
«Davvero? Perché sembri una strega dei racconti che raccontavo a Daniele da bambino.»
Valeria si sedette lentamente.
«Quella donna… è mia nonna. Vive nascosta perché tutta la vita è stata accusata di cose che non ha mai fatto. È guaritrice, non strega. Aiuta le persone. Io la aiuto. Nessuno deve sapere. Nessuno capirebbe.»
«Nemmeno Daniele?»
«Soprattutto Daniele.»
Rimasi in silenzio a lungo.
Alla fine, dissi solo: «Se non hai nulla da nascondere, diglielo.»
Valeria scosse la testa. «Non ora. Ma lo farò. Ti giuro che lo farò.»
Mantenne la promessa una settimana dopo.
Daniele fu sconvolto. Ma non per le ragioni che credevo.
«Lo sapevo», disse. «Lo avevo intuito. Ma volevo che me lo dicesse lei.»
Ora vivono in un’altra città, e Valeria lavora in un centro di medicina alternativa. A volte ci scrive. Io non so ancora se ho fatto bene a seguirla quel giorno, ma so che la verità, per quanto strana, era meno dolorosa del dubbio.
E soprattutto, ho capito che non tutto ciò che sembra oscuro… è necessariamente malvagio.