In un paesino stretto tra le colline e il mare, viveva Teresa, una donna che aveva speso ogni briciolo di sé per la famiglia. Aveva conosciuto Pietro alla fermata dell’autobus, quando avevano entrambi diciassette anni e le scarpe lise. Si erano sposati giovanissimi e avevano avuto due figlie, Marta e Luisa, che avevano amato con una dedizione quasi sacra.
La vita non era mai stata generosa. Pietro lavorava in una segheria, Teresa faceva le pulizie in un albergo. Tornavano a casa tardi, con la schiena a pezzi, ma ogni sera cucinavano qualcosa di caldo, aiutavano le figlie con i compiti, sorridevano come se non mancasse nulla. La povertà, da loro, non aveva mai avuto il permesso di entrare nel cuore.
Quando Marta fu ammessa all’università di Firenze, e Luisa pochi anni dopo a Bologna, Teresa pianse. Non per la distanza, ma per l’orgoglio. “Saranno donne libere,” diceva a Pietro, che annuiva in silenzio, fiero anche lui. Per anni mandarono soldi ogni mese, tagliarono tutto il superfluo. Lei smise persino di comprare i libri gialli che amava tanto. “Dopo,” diceva. “Quando saranno sistemate.”
E così fu. Le ragazze si laurearono, trovarono lavoro, si sposarono. Teresa e Pietro si stringevano le mani nelle panche della chiesa, durante i matrimoni, come due sopravvissuti di una guerra che nessuno aveva visto.
Poi arrivarono i nipoti. Teresa si rimise il grembiule, smise con le pulizie e si dedicò a loro. Li accudiva con la stessa attenzione con cui aveva cresciuto le figlie: pappette di verdure, favole raccontate col cuore, canzoncine inventate per farli ridere. Pietro continuava a lavorare, anche oltre l’età della pensione. “Finché posso,” diceva. “Così tu puoi stare con loro.”
Un giorno, però, Pietro non tornò. Un infarto lo portò via in pochi minuti. Teresa non pianse davanti a nessuno. Mise via le camicie del marito, lavò il suo cappello preferito, lo piegò bene e lo posò accanto alla foto del matrimonio.
Iniziò allora un silenzio diverso. Le figlie, ora con vite piene, chiamavano sempre meno. “Mamma, oggi non riesco.” “La settimana prossima, promesso.” I nipoti crebbero, andarono all’asilo, e poi a scuola. Teresa restò a casa, con le mani vuote. Quelle stesse mani che un tempo avevano saputo fare tutto — cullare, cucinare, consolare — ora non servivano a nessuno.
Quando chiese un piccolo aiuto per comprare le medicine per il cuore, Marta alzò gli occhi al cielo. “Sai quanto costa vivere oggi, mamma? Lo capisci, vero?” Luisa fece finta di non sentire. Dopo quella visita, passarono mesi senza che bussassero alla sua porta.
Teresa si rifugiò in piccoli gesti: sistemare il giardino, parlare con il gatto randagio che veniva ogni giorno a prendere un biscotto, scrivere lettere mai spedite. La casa si fece più silenziosa. Ogni oggetto parlava di un tempo che nessuno ricordava più.
Un giorno, mise sul tavolo due tazze di caffè. Una per lei, una per Pietro. Accese la radio, prese una delle vecchie lettere scritte alle figlie, la strappò in silenzio e sorrise amaramente. Aveva deciso che non avrebbe più chiesto nulla.
Eppure, ogni sera, apriva la finestra e guardava la strada. Forse qualcuno si sarebbe ricordato. Forse un giorno avrebbe sentito correre dei passi sulle scale, e una voce infantile urlare “nonna!”
Quel giorno non arrivò.
Ma Teresa continuò ad aspettare. Perché certe donne nascono per amare senza misura. Anche se restano con le mani vuote.