Finché un giorno, il tombino si sollevò da solo – RiVero

Finché un giorno, il tombino si sollevò da solo

Il cane dava ogni giorno un’occhiata alle fogne, e quando sono state aperte, LA GENTE è rimasta sotto shock.

Era un meticcio dal pelo arruffato, grigio come la cenere e gli occhi troppo intelligenti per un cane randagio. Lo chiamavano Brik, ed era diventato una figura familiare nel quartiere di via Marghera. Non era aggressivo, non era affettuoso. Si limitava a comparire ogni mattina, sempre alla stessa ora, vicino a un vecchio tombino arrugginito dietro la scuola elementare.

Ci stava seduto davanti, poi si avvicinava, annusava il bordo, e restava immobile a fissarlo per minuti interi. Ogni giorno, stessa scena. Ogni giorno, stesso sguardo.

Qualcuno diceva che era matto. Qualcuno rideva. I bambini lo avevano soprannominato “il cane sentinella”. Ma Brik non abbaiava. Non scodinzolava. Guardava.

Finché un giorno, il tombino si sollevò da solo.

Era un pomeriggio d’aprile. Faceva caldo, l’aria odorava di pioggia in arrivo. Brik era lì, come sempre, a fissare il tombino. E all’improvviso, con un cigolio grave, la grata si sollevò di qualche centimetro. Il cane si mise a ringhiare. Poi ululò. Un suono profondo, lacerante, quasi umano.

Una bidella della scuola vide la scena e urlò. In pochi minuti, una folla si radunò. Tutti guardarono il tombino che, lentamente, si apriva del tutto. Brik si mise davanti, come a proteggere la gente da ciò che stava per uscire.

Quel che ne venne fuori non era un animale. Né un uomo. Era… qualcos’altro.

Un essere umanoide, nudo, sporco di melma e fango, con occhi troppo grandi per il volto scavato. Avrà avuto forse dieci anni, forse cento. Tremava, e respirava a fatica. E quando finalmente parlò, le sue prime parole furono:

— È ancora giorno? Posso uscire ora?

Le urla scoppiarono come vetri infranti. Alcuni scapparono. Altri filmarono tutto con i cellulari. Ma fu Brik a rimanere fermo, piantato davanti a quella creatura, che si accasciò sull’asfalto, piangendo.

I vigili, gli infermieri, la polizia. Arrivarono tutti in pochi minuti.

Quello che emerse nei giorni successivi lasciò la città senza fiato. Sotto il quartiere — ignoto a tutti — si estendeva un labirinto di stanze, tunnel e celle. Un vecchio bunker trasformato in un rifugio segreto da una setta disgregata negli anni Ottanta. Dentro, trovarono diari, resti di pasti, e tracce di più persone. Tutte fuggite o morte. Tranne quel bambino.

Era lì sotto da anni. Cresciuto nel buio. Nessuno aveva mai capito come fosse sopravvissuto.

Tranne Brik.

Gli psicologi dissero che il cane probabilmente lo aveva scoperto per caso, anni prima, seguendo l’odore del cibo o del dolore. E da allora, ogni giorno, era tornato lì. A controllare. Ad aspettare.

Forse aveva sperato che qualcuno aprisse.
O forse stava solo cercando di dire al mondo che lì sotto c’era qualcuno che nessuno vedeva.

Brik fu adottato dalla famiglia che accolse il bambino, che nel frattempo cominciò a parlare, lentamente, raccontando frammenti di un incubo lungo una vita.

E da allora, in città, ogni cane che si ferma a guardare un tombino… viene ascoltato.

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