Tutti i presenti rimasero immobili, fissando l’uccello con uno sgomento crescente. – RiVero

Tutti i presenti rimasero immobili, fissando l’uccello con uno sgomento crescente.

Era una giornata grigia, con nuvole cariche di pioggia che sembravano soffocare la luce del sole. Il vento soffiava freddo e tagliente, mentre i fiori freschi sulla bara della piccola Emilia tremolavano sotto il soffio della tempesta imminente. La piccola aveva solo sei anni, ma la sua morte era stata un tragico incidente che aveva scosso l’intero paese.

I parenti si erano raccolti nel cimitero, il volto teso e rigato di lacrime. La madre di Emilia, Laura, era accasciata su una panchina, il viso nascosto tra le mani, incapace di guardare la bara di sua figlia. Il padre, Marco, stava accanto alla tomba, con lo sguardo fisso, perso nei suoi pensieri. Nessuno parlava, nessuno osava infrangere il silenzio che gravava su di loro.

Fu allora che accadde. Un corvo nero, con le piume lucide e gli occhi gialli come due soli spenti, volò sopra la folla. In un attimo, si posò sulla bara di Emilia, come se fosse stato attirato da una forza invisibile.

Tutti i presenti rimasero immobili, fissando l’uccello con uno sgomento crescente. Non era normale vedere un corvo durante un funerale, tanto meno posato su una bara. La sua presenza sembrava fuori posto, come un segno oscuro che nessuno riusciva a comprendere.

Marco, tremante, si avvicinò alla bara, il cuore che gli batteva forte nel petto. Gli occhi del corvo sembravano fissarlo con una freddezza che andava oltre la semplice osservazione. L’uccello non si muoveva, le sue ali erano raccolte, eppure la sua presenza era così opprimente che sembrava occupare ogni spazio.

“Cos’è questo?” chiese Laura, alzando finalmente lo sguardo e notando l’animale. La sua voce tremava, una nota di paura nel tono. Marco non rispose, ma il suo viso era pallido come la morte. I suoi occhi cercavano spiegazioni, ma non ce n’erano. Il corvo, per quanto si sforzasse, non si alzava dalla bara.

Poco dopo, uno degli zii di Emilia, un uomo di mezza età di nome Alfredo, si fece coraggio e si avvicinò all’uccello. “Vattene, corvo!” gridò, con rabbia, allontanandolo. Ma il corvo, con uno scatto improvviso, lo fissò intensamente, il suo becco affilato sembrava brillare come un coltello. Alfredo indietreggiò, il cuore colto da un’inquietudine che non riusciva a spiegare.

Il silenzio calò di nuovo sulla folla, come se il corvo avesse sigillato con la sua presenza ogni parola, ogni pensiero. Poi, lentamente, il corvo spiccò il volo, dirigendosi verso l’orizzonte, ma non senza aver prima lanciato un urlo acuto, che risuonò in tutta la valle. Quel suono, che sembrava provenire dal profondo di una notte senza fine, rimbalzò nelle orecchie di tutti, lasciando un eco di terrore che nessuno avrebbe mai dimenticato.

Gli occhi di Laura si colmarono di lacrime mentre guardava il cielo dove il corvo spariva, come se stesse portando via qualcosa di più di un semplice animale. Il suo cuore si stringeva, il dolore si faceva sempre più intenso, come se quella presenza fosse stata il segno di qualcosa che non avrebbe mai potuto comprendere.

Marco guardò la sua famiglia, ma non riusciva a parlare. La sua mente si affollava di pensieri oscuri, come se il corvo avesse portato con sé una profezia, un presagio di morte che stava per abbattersi su di loro. E mentre il vento si placava e la tempesta finalmente si faceva lontana, tutti si resero conto che quel funerale non sarebbe mai stato come gli altri.

La morte di Emilia era solo l’inizio.

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Tutti i presenti rimasero immobili, fissando l’uccello con uno sgomento crescente.
Valentina era una giovane madre single, che cercava di mantenere la figlia neonata in condizioni dignitose.