Mio figlio di 13 anni ha iniziato a fare tardi dopo la scuola: sono andato a controllare il perché e l’ho visto salire su un convoglio di SUV neri. – RiVero

Mio figlio di 13 anni ha iniziato a fare tardi dopo la scuola: sono andato a controllare il perché e l’ho visto salire su un convoglio di SUV neri.

Sono sempre stata solo io e lui. Mio figlio Kyle, tredici anni, ed io. Nessun padre, nessun marito, nessun aiuto. Solo noi due, sempre. E per tredici anni mi sono detta che bastava. Bastava il nostro piccolo mondo, le nostre cene insieme, le serate con i film sul divano, le partite a calcio nel parco la domenica. Ma ora… ora qualcosa stava cambiando. E in fretta.

Ultimamente, Kyle tornava sempre più tardi da scuola. Ogni giorno un’ora in più, poi due. A volte nemmeno rispondeva al telefono. Quando gliene parlavo, si limitava a dire:
— Mamma, sto facendo musica con i ragazzi. O giochiamo a calcio, dai. Tutto normale.

Ma non era normale. Non lo era affatto.

Una sera, mentre sistemavo la sua stanza, trovai qualcosa che mi gelò il sangue: sotto il letto, ben nascosti tra i vecchi fumetti, c’erano mazzette di banconote legate con elastici, un tablet di ultima generazione, cuffie costose e un orologio da migliaia di euro. Non abbiamo mai avuto soldi per queste cose. Mai. Ho rimesso tutto a posto, fingendo di non aver visto nulla, ma dentro di me si agitava una tempesta.

Il giorno dopo, guidai fino alla sua scuola e parcheggiai poco lontano, con il motore spento. Aspettai.

Quando suonò la campanella, lo vidi uscire con lo zaino in spalla. Guardava il telefono, poi alzò lo sguardo e si diresse con passo sicuro verso l’angolo della strada. E lì accadde qualcosa di surreale.

Un convoglio di SUV neri, lucidi, silenziosi, si fermò davanti a lui. Tre auto identiche. La portiera della prima si aprì e Kyle salì senza esitare. Non ci pensai due volte: accesi il motore e li seguii.

Dieci minuti dopo eravamo in una zona residenziale ricca, tra le colline. Si fermarono davanti a una villa immensa, recintata da alte siepi e sorvegliata da telecamere. Kyle scese e fu accolto da due uomini in giacca e cravatta. Entrarono insieme. Io frenai di colpo, scesi dalla macchina tremando, e mi avvicinai al cancello. Suonai il campanello, il cuore in gola.

— Sì? — rispose una voce maschile, calma, dal citofono.

— Sono la madre di Kyle. Voglio parlare con lui. Subito!

Un momento di silenzio. Poi il cancello si aprì. Entrai, senza sapere cosa aspettarmi.

La porta si aprì, e mio figlio mi venne incontro. Non sembrava spaventato. Sembrava… felice.

— Mamma! Non dovevi venire, volevo dirtelo io…

— Dirti cosa, Kyle? — dissi cercando di mantenere la calma, ma la mia voce tremava.

Dietro di lui apparve un uomo, sulla cinquantina, sguardo gentile, vestito elegante.

— Signora, buongiorno. Non si preoccupi. Kyle è con noi per un progetto molto speciale.

— Un progetto? — scattai. — Gli avete dato soldi, gadget… l’avete convinto con regali?

Kyle mi prese la mano. — Mamma, ti giuro che non sto facendo niente di male. Questo signore è il presidente della Fondazione Genio Giovane. È una roba super esclusiva. Loro… mi hanno scoperto su un forum musicale. Ho caricato delle basi che ho composto col tablet della scuola. Gli sono piaciute. Mi hanno contattato. Vogliono finanziare la mia formazione. Mi stanno insegnando a comporre col software professionale. Quei soldi… erano un premio. Un incentivo. E i regali… strumenti di lavoro, mamma.

Ero stordita. Guardai l’uomo, che annuiva con un mezzo sorriso.

— Sua madre ha ogni diritto di essere preoccupata, Kyle. Ma capirà, col tempo.

Mi fecero entrare. Mi mostrarono la sala musica, le postazioni, le registrazioni. Mi offrirono un caffè. E poi, il contratto. Era tutto legale, trasparente. E mio figlio… era davvero bravo. Un piccolo prodigio.

Quella sera, tornando a casa con lui accanto, gli dissi:

— Potevi parlarmene.

— Avevo paura non mi credessi. Che pensassi… chissà cosa.

Sospirai. — Avrei preferito mille verità strane, piuttosto che vederti salire su SUV neri senza sapere dove stessi andando.

Lui sorrise. — Mi fiderai di più, adesso?

— Sì, — dissi. — Ma promettimi che non mi escluderai mai più.

— Promesso, mamma.

E per la prima volta da settimane, seppur incredula, sentii tornare la pace. Avevo ancora mio figlio. Avevo ancora la nostra storia. Solo che ora… aveva una colonna sonora tutta sua.

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Mio figlio di 13 anni ha iniziato a fare tardi dopo la scuola: sono andato a controllare il perché e l’ho visto salire su un convoglio di SUV neri.
Ho salvato il corvo dopo averlo trovato ferito. Ma ciò che ha portato un mese dopo è qualcosa che non puoi dire ad alta voce.