Un anno dopo, mentre sfogliavamo un vecchio album fotografico, Lucia mi prese la mano e disse: “Se vuoi, puoi chiamarmi mamma.” – RiVero

Un anno dopo, mentre sfogliavamo un vecchio album fotografico, Lucia mi prese la mano e disse: “Se vuoi, puoi chiamarmi mamma.”

Quando papà se n’è andato, il mondo mi è sembrato improvvisamente troppo grande e troppo vuoto. Avevo quattordici anni, e quella casa che un tempo era piena di risate e calore si era trasformata in un luogo silenzioso e freddo. Mia madre era scomparsa quando ero piccolo, e papà si era risposato con Lucia, una donna che non avevo mai davvero considerato più di una presenza lontana.

All’inizio, la matrigna era solo “la donna di papà”. Stava lì, gentile ma distante, con quel modo di parlarmi con cautela, come se temesse di fare un passo falso. Io invece ero arrabbiato, perso in un groviglio di dolore e rancore, convinto che nessuno potesse mai sostituire papà, né tanto meno diventare una figura materna per me.

Poi, un giorno d’inverno, quando la mia tristezza sembrava inghiottirmi, Lucia bussò alla mia porta con una tazza di cioccolata calda e un sorriso che non cercava di essere perfetto, ma sincero. Mi disse: “Non voglio sostituire nessuno, ma posso provare a camminare al tuo fianco.”

Col passare delle settimane, tra chiacchiere a cena, aiuti con i compiti e pomeriggi passati a cucinare biscotti, quella donna divenne la mia confidente e il mio rifugio. Non mi chiese mai di dimenticare papà, ma mi insegnò che l’amore può moltiplicarsi, non dividere.

Un anno dopo, mentre sfogliavamo un vecchio album fotografico, Lucia mi prese la mano e disse: “Se vuoi, puoi chiamarmi mamma.”

Quelle parole mi scaldarono il cuore più di quanto avessi mai immaginato. E fu allora che capii che la vera famiglia non si misura solo dal sangue, ma dall’amore, dalla presenza e dal coraggio di restare.

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Un anno dopo, mentre sfogliavamo un vecchio album fotografico, Lucia mi prese la mano e disse: “Se vuoi, puoi chiamarmi mamma.”
Ma non avrei mai pensato che arrivasse a tanto