Quando l’aereo toccò terra, le ruote tremarono sulla pista, ma nel cuore di Alevtina si faceva strada una calma profonda. Come se tutta la fatica degli ultimi anni — il rimorso, la solitudine, il silenzio — si fosse finalmente addolcita.
Luci soffuse illuminavano la cabina mentre i passeggeri si preparavano a scendere. Ma nessuno si alzò subito. Era come se tutti volessero restare un po’ di più, spettatori di una storia più grande del viaggio stesso.
Victor, che poco prima aveva sputato veleno, ora le stava accanto con occhi bassi e dita nervose.
– Mi dispiace, signora Alevtina – sussurrò. – Non avevo idea… Non ho parole.
Lei gli sorrise con un filo di tristezza, ma senza rancore.
– A volte le parole non servono. Basta esserci. E tu, adesso, ci sei.
La porta della cabina si aprì. Il comandante uscì per ultimo, togliendosi lentamente il cappello. Era un uomo alto, con i capelli appena grigi e lo sguardo deciso. Ma in quel momento tremava.
I due si fissarono per lunghi secondi.
– Mi chiamo Dmitry Volkov – disse. – Ma… credo che tu sappia già chi sono.
Alevtina si alzò in piedi con un’espressione che era metà timore, metà speranza.
– Tu… tu hai parlato. Con la tua voce. Per me.
Lui annuì. Fece un passo avanti. Poi un altro. Fino a che non fu abbastanza vicino da sfiorarle le mani.
– Ho detto che non volevo conoscerti – mormorò. – Ma quando ti ho visto nella lista passeggeri, ho capito che non volevo perderti. Non di nuovo.
Le lacrime le scivolarono di nuovo sul viso. Ma stavolta non erano solo di dolore.
– Sei cresciuto bene – disse lei, toccandogli la guancia come se avesse paura di svegliarsi da un sogno.
– Solo perché qualcuno mi ha dato la vita, anche a costo di spezzarsi. E adesso… forse è il momento di provare a rimettere insieme i pezzi.
Dmitry si voltò verso l’equipaggio e i passeggeri, con una voce ferma:
– Questo è un giorno importante per me. Ma non come comandante. Come figlio.
L’intero aereo esplose in un lungo applauso. Anche Viktor, con occhi lucidi, si unì a quel battito collettivo. Nessuno si prese più gioco dell’anziana donna dal vestito modesto. Perché ora tutti vedevano chi era davvero: una madre. Una sopravvissuta. Una donna con ali invisibili.