Quando mia madre, settantenne, ci ha detto durante una cena tranquilla che si era finalmente comprata “quel vestito” — un abito firmato da 1800 dollari — ho rischiato di soffocare con l’acqua.
Eravamo tutti seduti a tavola. Il cibo fumava nei piatti, ma l’atmosfera si era improvvisamente congelata. Mio figlio Adam stava per entrare all’università, e ogni centesimo contava. Io lavoravo a tempo pieno, mio marito faceva due lavori. E mia madre, quella stessa donna che per anni aveva fatto sacrifici per la famiglia, ora diceva di aver speso tutto per un vestito?
Quella sera non le dissi nulla. Ma dentro di me ribollivo. Non dormii quasi per tutta la notte. Continuavo a ricordare le sue mani screpolate che mi infilavano i guanti d’inverno, il suo volto stanco dopo ore al panificio, la fatica che faceva per regalarci qualcosa a ogni compleanno.
E adesso… un vestito?
Dopo due giorni, non ce la feci più.
— Mamma, — le dissi con voce tremante, — penso che tu sia stata egoista. Come puoi comprare un vestito così costoso quando tuo nipote ha bisogno di aiuto?
Lei non si offese. Mi guardò con uno sguardo pieno più di malinconia che di rabbia. Poi disse solo:
— Vieni domani da me. Voglio mostrarti una cosa.
Il giorno dopo andai. Mi fece sedere in cucina e tirò fuori una vecchia scatola di cartone, impolverata, nascosta sopra l’armadio. Dentro c’erano vecchie fotografie: lei e mio padre da giovani, felici. Un pezzo della loro gioventù. E c’era anche una cartolina, logora ma ancora leggibile.
“Un giorno, quando i bambini saranno cresciuti, ti comprerò quel vestito che abbiamo visto insieme nella vetrina di Parigi. Te lo meriti. Meriti di sentirti bella, anche solo per un giorno. Ti amo. — Roberto”
La guardai. I suoi occhi brillavano. Con le dita accarezzava la cartolina come fosse di porcellana.
— Ho aspettato. Tutta la mia vita ho vissuto come madre, come moglie. Non mi sono mai fermata. E ora che tuo padre non c’è più, che i nipoti sono cresciuti, ho capito: o adesso, o mai più. Era una promessa. Era il mio ultimo sogno.
Rimasi in silenzio. E all’improvviso tutta la mia rabbia lasciò spazio a una stretta al cuore. Quando è stata l’ultima volta che mia madre si era sentita semplicemente una donna? Non una nonna, non una madre, ma una donna, che ha il diritto di sentirsi bella, senza chiedere scusa?
— Scusami, mamma, — riuscii solo a dire.
Lei sorrise.
— Vieni con me domenica. Io e le mie amiche andiamo all’opera. Voglio che tu mi veda indossare quel vestito.
E così, domenica andai. Quando uscì dalla sua camera con quell’abito di seta blu, per un attimo il tempo sembrò tornare indietro. Non so se fosse il vestito o il suo sorriso finalmente libero.
Quella sera ho capito una cosa: a volte, il regalo più grande non è l’abito.
È la libertà di dire, anche solo una volta nella vita:
“Anch’io lo merito.”