Ci siamo conosciuti in una galleria d’arte, tra tele troppo costose e chiacchiere che odoravano di vino e ambizione. – RiVero

Ci siamo conosciuti in una galleria d’arte, tra tele troppo costose e chiacchiere che odoravano di vino e ambizione.

Ho iniziato a frequentare un uomo più giovane, ma da me si aspettava qualcos’altro.

Ci siamo conosciuti in una galleria d’arte, tra tele troppo costose e chiacchiere che odoravano di vino e ambizione. Io, quarantacinque anni e una carriera ben avviata come restauratrice; lui, ventotto, sguardo curioso e mani da pianista. Si chiamava Luca, ed era un giovane critico emergente, con una parlantina affilata e una gentilezza che non sembrava costruita.

All’inizio era tutto semplice. Cena, risate, notti condivise a parlare d’arte, di viaggi, della distanza tra ciò che desideriamo e ciò che accettiamo. Mi faceva sentire viva, non solo desiderata, ma vista. Mi faceva dimenticare il tempo. O almeno, così credevo.

Ma qualcosa, col passare delle settimane, cominciò a incrinarsi. Non era uno sguardo, o una frase detta male. Era una distanza che cresceva sottopelle. Un pomeriggio, mentre bevevamo un caffè al bar sotto casa, mi chiese:
— Tu non pensi mai a lasciare tutto?

— Lasciare cosa? — risposi, sorpresa.

— Il lavoro, la città. Vivere davvero. Non… sopravvivere nei ruoli.

Quella frase mi rimase dentro per giorni. Poi venne il momento della verità, una sera d’inizio primavera. Luca era inquieto, seduto al bordo del letto come se avesse qualcosa da dire ma non sapesse da dove cominciare.

— Io non sono con te per quello che pensi, — disse. — Non voglio una relazione comoda, o una guida. Voglio una complice. Una follia.
— Non ti seguo.
— Pensavo che avresti capito. Io sto cercando qualcuno disposto a mollare tutto e scappare. Un progetto. Un’idea. Io voglio aprire uno spazio artistico in Grecia, vivere di poco, creare qualcosa di vero. E avevo sperato che tu potessi venire con me.

Rimasi in silenzio. Non perché non mi piacesse l’idea. Ma perché per la prima volta realizzai che, forse, io gli piacevo nonostante chi ero, non perché ero io. Aveva proiettato su di me una fuga, una figura forte ma disposta a diventare leggera. Ma io ero radicata. Non nella paura — nella scelta. Io avevo già fatto le mie rivoluzioni, e avevo deciso di rimanere.

— Luca, io non voglio scappare da niente. Ho costruito questa vita con fatica, con amore. Non sono una zavorra, ma neanche una vela. Sono una persona che ha imparato a restare.

Ci guardammo a lungo. E lì finì, senza rabbia.

Ci lasciammo con affetto, con quella dolce tristezza che accompagna le cose che nascono belle ma non possono crescere. Perché a volte le persone non ci scelgono per quello che siamo, ma per quello che rappresentiamo.

E io, per lui, ero un’idea. Non una donna.

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